“Taibale” al Museo Civico di Bari: Antonieta Felmanas emoziona il pubblico
Il Bari Brasil Film Fest è partito nel segno di una donna eccezionale, che ha vissuto molte vite: Antonieta Felmanas, protagonista del documentario Taibale, di Gianni Torres. È stato lo stesso regista a introdurre il suo recente lavoro, già vincitore di numerosi premi in tutto il mondo, nel prologo della nostra rassegna, venerdì 17 ottobre presso il Museo Civico di Bari.
Torres ha raccontato come il documentario abbia preso forma grazie ai suggerimenti della compianta giornalista, divulgatrice scientifica e filantropa ebrea Viviana Kasam: “Inventati qualcosa di nuovo”, gli aveva consigliato per differenziarsi rispetto alle tante opere che nel corso del tempo si sono occupate di un argomento così delicato come le persecuzioni degli ebrei all’epoca della Seconda guerra mondiale.
Così Gianni Torres ha deciso di usare in modo innovativo l’intelligenza artificiale per accompagnare la storia di una testimone del Novecento come Antonieta, che da bambina aveva vissuto sulla propria pelle tutte le assurdità di quel periodo storico. Un passato che, però, aveva rimosso, tanto da recuperarlo solo da adulta grazie a una cugina che l’aveva aiutata a fuggire in Brasile per trovarle una nuova famiglia. Inoltre, la protagonista del documentario aveva evitato di raccontare agli altri la propria storia per anni. Così, quest’opera, definita dal regista DocumentAI, si divide idealmente in due parti: la prima che ricostruisce le incredibili vicissitudini di Taibale – questo era il nome originale in yiddish di Antonieta – e la seconda che illustra l’operato delle associazioni messe in piedi in Brasile dalla donna.
Con le sue istituzioni benefiche che supportano i poveri, Antonieta ha sempre voluto mettere in primo piano l’empatia verso gli altri: un modo per guardare avanti e non soffermarsi sul passato. Per lei dialogo e accoglienza sono sempre stati fondamentali. “Nessuno merita di essere cacciato dal luogo in cui vive”, spiega nel documentario, in larga parte narrato in prima persona, per giustificare la decisione di non far sgombrare le baracche di chi aveva invaso i terreni di una sua associazione per creare una favela, al posto dei boschi preesistenti. Ora, infatti, in quel luogo rimangono liberi solo dei piccoli appezzamenti di terra, in larga parte utilizzati per coltivazioni biologiche destinate a nutrire i giovani ospiti della struttura.
“Mi ha emozionato tantissimo girare questo documentario e rivederlo oggi”, ha detto Gianni Torres dopo la proiezione, sottolineando la forza della storia di una donna che ha reagito alle avversità della vita abbracciando l’amore, la diversità, l’uguaglianza.
La professoressa Silvia Godelli ha sottolineato come la vicenda di Antonieta ci fornisca un quadro indiretto di quello che è stato il Novecento, attraverso una storia che ci racconta di identità spezzate, costrette a vivere nel tempo con famiglie, lingue e terre diverse. Alla fine delle sue vicissitudini la protagonista ha scelto un luogo in cui ha potuto coltivare umanità, cercando nell’amore per gli altri la fuga dalle proprie sofferenze.
In collegamento da San Paolo è intervenuta la stessa Antonieta: in un fluente italiano imparato da giovane, ha raccontato dell’importanza che per lei riveste l’empatia, che le ha permesso di mettere in collegamento persone e gruppi per perseguire i suoi scopi umanitari, dimostrando anche una certa dose di coraggio.
Dopo l’uscita del documentario, che ha destato grande attenzione in Brasile, è aumentato l’interesse verso le attività filantropiche di Antonieta, specialmente da parte di giovani provenienti da tutto il Paese. Sono arrivati anche volontari, come un professore che presto lavorerà con i bambini che studiano nel centro creato dalla donna insieme al marito, o come gli architetti che stanno realizzando delle case nella favela per sostituire le baracche fatiscenti. Infatti, per Antonieta, l’educazione resta un fondamentale strumento di crescita. Per lei i “maestri” sono fondamentali, ma non solo per gli insegnamenti a scuola, ma anche per quelli che riceviamo durante tutta la nostra esistenza: l’educazione e la cultura diventano così un viatico alla rinascita e al riscatto dei più sfortunati.
Antonieta ha spiegato anche di non guardare al passato, di non avere conti in sospeso con la sua drammatica vicenda. Per questo ha apprezzato molto il modo asciutto e privo di sentimentalismi con cui Gianni Torres ha raccontato la sua storia di una bambina allontanata dai genitori e costretta a vivere con degli estranei per sfuggire alle persecuzioni.
Prima dei saluti, Antonieta ha rivelato di avere un bel ricordo di Bari, in cui è stata ospite tanti anni fa per assistere a un’opera lirica al teatro Petruzzelli. E proprio di Bari ha parlato Silvia Godelli in chiusura: una situazione ben diversa da quella del Brasile, visto che qui non esistono forme di povertà così estrema. Una realtà che, pur essendosi evoluta negli ultimi anni, sta vivendo molte contraddizioni, con il boom turistico che ha portato all’espulsione di gran parte della popolazione originaria da Bari Vecchia. Tuttavia, situazioni difficili resistono in altri quartieri con problemi come la criminalità e il lavoro nero, che andrebbero risolti dalle istituzioni locali e nazionali e non nascosti sotto il tappeto.
Foto di Vito Signorile.
Vincenzo Camaggio









